Accuse infondate, impresa a rischio
Messaggero Veneto - 19 novembre 2010 pagina 11 sezione: UDINE
di ANTONIO SIMEOLI TORREANO. Sono entrati nel tunnel tre anni fa quando un esposto ha avviato una serie infinite di indagini sulla cava di pietra Piasentina nelle valli del Natisone che costituisce il cuore della loro attività di marmisti. In mezzo si sono visti riversare una serie di accuse (anche penali) pesanti e pure una multa da 140 mila euro. Ora, tre anni dopo, tutto si è risolto in una bolla di sapone. Ma l'azienda, di Bruno e Andrea Rossi, trent'anni di storia, rischia seriamente di chiudere i battenti. «Dopo un calvario di tre anni il Tribunale di Udine in giugno ci ha dato ragione respingendo tutte le accuse della forestale e del Servizio geologico - spiega Andrea Rossi - nel frattempo però senza poter utilizzare la cava di Clastra, quella al centro dell'indagine, abbiamo perso clienti, abbiamo dovuto rinunciare a 4 dei 12 operai. Siamo sull'orlo del crack». E ora chi li risarcirà? E, soprattutto, quando accadrà? «Quattro-cinque anni solo per un giudizio di primo grado - spiega Maurizio Conti, l'avvocato degli imprenditori. E per i miei assistiti e un tecnico della cava rimane ancora in piedi un procedimento penale dal quale però contiamo di uscire rapidamente». Insomma, quella della Rossi Marmi snc è una dei tante storie di giustizia diventata in-giustizia. Tutto è iniziato a fine febbraio del 2007 quando un esposto presentato da un cittadino aveva avviato una serie di ispezioni e controlli sulla cava di Clastra. Corpo Forestale, Servizio geologico regionale avevano in breve formulato una serie di accuse pesanti. Due le più gravi. «Accusavano i miei clienti di aver eseguito l'escavazione a meno di venti metri dalla strada - spiega l'avvocato Conti - e di aver scavato una quantità superiore a quanto consentito dall'autorizzazione. Reati gravi, anche penali». Parte un braccio di ferro tra l'impresa e la pubblica amministrazione. Una si dice innocente e invoca nuove ispezioni, l'altra, attraverso il Servizio Geologico, risponde un anno dopo l'inizio dell'indagine con una sanzione di 140 mila euro e l'atteso no alla proroga per lo sfruttamento della cava perchè la legge vieta a un'impresa "indagata" di continuare l'attività estrattiva. Risultato: la Rossi Marmi si trova senza cava, con un conto da pagare di 140 mila euro e con gli affari che vanno a rotoli. Senza cava non c'è la pietra, senza pietra gli operai non hanno lavoro, e infatti in due anni 4 dei 12 dipendenti se ne vanno così come le commesse. «Dai 700-800 mila euro di fatturato - spiega l'imprenditore - ci siamo trovati a 400 mila euro scarsi con il mercato italiano, 90 per cento del globale prima dell'inchiesta, perso e solo poche soddisfazioni dalle esportazioni». Lo scorso giugno poi l'epilogo, amaro. Il Tribunale di Udine, sezione civile, ha giudicato infondate le accuse di Forestale e Servizio Geologico. Tutte, eccetto una mini-multa da 800 euro per uno scavo leggermente non conforme al progetto. Tempesta in un bicchier d'acqua. In più (beffa) il Tribunale ha condannato la Regione al pagamento delle spese di giustizia. Insomma, l'indagine si è rivelata un buco nell'acqua. E l'azienda è in affanno, senza cava e ordini. E in attesa di un risarcimento che rischia di arrivare quando sarà troppo tardi.