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"Frazione dimenticata" a Torreano, il sindaco: "In arrivo 225 mila euro"

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IMAGE La frazione dimenticata e l'appello della giovane coppia: "Come faremmo se ci fosse un'emergenza?"

Mirko Martinig e Jessica Russian, due ragazzi rispettivamente di 30 e 29 anni,... Leggi tutto...

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NOTIZIE TORREANESI

Torreano, 100 chili di rifiuti raccolti attorno ai laghetti

TORREANO. Rinnovando un impegno ormai consolidato, i membri del Carp Dimension Team - sezione friulana del Carp Fishing Italia - hanno promosso una giornata ecologica: l’attenzione dei pescatori del gruppo si è rivolta, quest’anno, ai laghetti di Campeglio e Togliano. Oltre quaranta pescatori sportivi (hanno partecipato alle attività pure soci dell’Udine Bass Buster) hanno provveduto, sotto la guida di Daniel Floreani, alla pulizia delle sponde, raccogliendo più di 100 chili di rifiuti. Il materiale di scarto è stato poi smaltito secondo i dettami della raccolta differenziata. E in chiusura... meritato momento di convivialità.

Noas, Il paese fantasma rivive grazie a un film

 

A Noas di Torreano il giovane regista di Faedis Gianluca Fioritto ha girato "Un frèt inviér", pellicola di genere storico di Barbara Cimbaro.

TORREANO. Noas è un borgo disabitato ormai da una decina d’anni: questo inverno è però tornato a nuova vita diventando il set del prossimo film di Gianluca Fioritto, giovane regista faedese.La vera sfida, come ci ha raccontato lo stesso Gianluca, è stata però quella di far fare al minuscolo borgo un vero e proprio “salto nel tempo”, per renderlo adatto all’ambientazione medievale della pellicola: si è trattato di un impegno di sei mesi, in cui il gruppo di lavoro non si è sottratto alla fatica, “occultando” la vista della linea elettrica, costruendo piccoli ripari, adattando serramenti e interni degli stabili. Nessun dettaglio è stato trascurato. «L’idea di girare a Noas – spiega Fioritto – è nata dal fatto che volevo fare un film prettamente medievale e mi serviva una location lontana da passaggi di persone, auto...». Gianluca ha avuto la fortuna di conoscere i proprietari del paesino, la famiglia Piccaro, che ha concesso l’autorizzazione per girare lì e anche per trasformare il borgo rurale, per il tempo necessario, in un autentico villaggio medievale. I preparativi hanno quindi compreso anche sei mesi di lavoro vero e proprio sul paese, cui hanno partecipato Gianluca e diversi componenti della troupe allestendo sia gli interni che gli esterni. Noas, va ricordato, era un borgo abitato, negli anni Cinquanta, da due fratelli, poi uno è mancato e il secondo si è trasferito in Canada; la proprietà è quindi passata alla famiglia che attualmente la detiene ma da circa una decina d’anni nessuno vi risiede stabilmente. Un tempo c’era un’attività di allevamento di animali e di pascolo. «Appena ho visto il paese – testimonia Gianluca – ho detto: è quello che cercavo. C’era, è vero, tanto lavoro da fare, ma sono uno di quelli che, almeno all’inizio, non vogliono porsi limiti». Non vorremo svelare troppo del film, che rientra naturalmente nel genere storico e si intitolerà “Un frèt inviér”. Spiega ancora Gianuca Fioritto: «Ha una solida base sulle tradizioni e sulle leggende friulane ed è sempre parlato in friulano. Narra – continua – la storia realmente successa dell’assassinio del patriarca Bertrando di Aquileia avvenuto nel 1350.

A questa s’intrecciano le vicende di due leggende popolari della tradizione orale friulana. Oltre alla struttura narrativa e alla sceneggiatura complessa, volevamo osare anche nei tempi. Abbiamo iniziato le riprese al 26 ottobre 2014 e, nonostante i tanti contrattempi che si sono succeduti, lo stiamo già portando a termine. Nostra intenzione era, infatti, quella di riuscire a filmare tutto nell’arco di fine autunno e dell’inverno. Abbiamo avuto la fortuna – conclude il regista - di conoscere alcune associazioni che hanno appoggiato appieno il nostro progetto credendo fortemente in questo e in noi, cosa che ci ha fatto, e ci fa ancora, emozionare oltre a renderci immensamente orgogliosi». Sono l’associazione storica “Popolani” del Palio di San Donato di Cividale, di cui faccio orgogliosamente parte, il gruppo “Boiani”, le associazioni storico-culturali “Studium de Cividatum” e “Nobiltà feudale” sempre di Cividale. Gianluca lavora con un gruppo affiatato, composto dal direttore della fotografia e aiuto regista Alex Gabrici, la sceneggiatrice Serena Battista, il secondo cameraman e aiuto fotografia Daniele Pavinato, l’aiuto regista Francesco Baita. Il film nasce in collaborazione con il circolo culturale “L’antica quercia” di Fanna.


Passione e tenacia: sono queste le caratteristiche dell’esperienza di Gianluca Fioritto come regista che hanno fatto diventare realtà quello che sarebbe potuto restare solo un bel sogno.

«Come tanti – racconta – anch’io fin da piccolo ho sempre avuto la passione per la fotografia. Col passare degli anni ho poi visto che mi sentivo più a mio agio nell’esprimere le mie emozioni dietro a una telecamera. Ho iniziato circa 18 anni fa col filmare qualcosa con gli amici del gruppo. Ci si organizzava per la domenica e, telecamera in spalla, si andava a tradurre il tutto in un qualcosa che potesse esser vicino ad una scaletta filmica. Ci si divertiva tantissimo e sono nate così delle amicizie molto forti come quella coi carissimi Alex Gabrici e Pietro Roiatti».

Dopo anni di prove e di filmati – continua – «a detta degli amici simpatici, come il lungometraggio “Last lie”, film poliziesco nei più classici canoni hollywoodiani, abbiamo avuto la fortuna di conoscere Galdino Zuliani, un regista affermato nell’ambito delle tradizioni friulane, abbiamo passato con lui due anni bellissimi, in cui abbiamo condiviso dei lavori e ci ha svelato vari “segreti” del mestiere. Poi siamo passati a un altro progetto intitolato “L’Evo dei sogni”, girato nella bellezza di tre anni, e qui abbiamo conosciuto il presidente del circolo culturale per cui lavoriamo, il caro Paolo Paron. Il film era incentrato sulla figura dei beneandanti e degli strionaz». Il lavoro successivo è “Striaments”. «Si tratta di un mediometraggio – racconta ancora Gianluca – che si compone di tre cortometraggi. Tema principale sono le leggende friulane, con le loro agane, streghe e tradizioni, tutto in lingua friulana. Nel nostro piccolo abbiamo avuto moltissimi apprezzamenti, tant’è che abbiamo voluto subito cimentarci in un’altra avventura ben più difficile, articolata ma suggestiva e ricca di espressioni come questo nuovo film». La regia per Gianluca non è ancora un mestiere che permette di mantenersi – infatti lavora nel negozio di biciclette di famiglia, a Faedis – sono però sempre di più quelli che, dopo aver visto i suoi film, fanno sinceramente il tifo per il suo futuro da regista.(b.c.)

Raid notturno dei vandali, distrutte 187 piante di vite

Presi di mira due filari in un’azienda. Persi sette-otto quintali di uva. Il sindaco Sabbadini: «Addetti ai lavori preoccupati». Il caso dei cani avvelenati.

Due interi filari di viti brutalizzati, con il metodico, impietoso taglio dei tralci: nemmeno una delle 187 piante che compongono la doppia, lunga fila presa di mira è stata graziata. Un colpo di forbice dietro l'altro, secco, deciso, nel punto esatto in cui dal fusto partiva il ramoscello pronto a germogliare. È successo a Torreano – Comune in cui la coltivazione dell'uva rappresenta la seconda risorsa, dopo la pietra piasentina –, dove ormai dilaga la paura del vandalo in azione. A subire il raid è stato l'imprenditore agricolo Maurizio Iacuzzi, titolare dell'omonima azienda. La brutta sorpresa è arrivata la mattina di qualche giorno fa: recandosi, come d'abitudine, nei suoi vigneti, l'uomo si è imbattuto in uno scenario di devastazione. Tantissimi ramoscelli di vite che aveva piegato solo poche ore prima, con cura meticolosa, penzolavano recisi. Tradotto in termini pratici, ciò significa «sette-otto quintali di uva persi». «Per non pensare, poi – aggiunge, sconcertata, la vittima del blitz –, a tutto il lavoro preparatorio, al tempo che ha richiesto». Tempo, appunto: per recuperare, adesso, ci vorrà un anno intero. «Per questa stagione - spiega il coltivatore - le piante sono irrimediabilmente rovinate. Non produrranno nulla. Bisognerà attendere i tralci della prossima». Sospetti ci sono, fa intuire Iacuzzi, che ha sporto denuncia ai carabinieri della stazione di Torreano e che per tutelare la sua proprietà (circa tre ettari) si è visto costretto a programmare l'installazione di un sistema di videosorveglianza. «Qualche avvisaglia – racconta – c'era stata prima dell'episodio: per cinque giorni consecutivi ho trovato, di mattina, slegati i tralci che avevo fissato il pomeriggio precedente. Speriamo che il responsabile sia identificato presto. Stavolta è capitato a me, ma se c'è un folle in azione l'intero comparto è a rischio. Torreano è terra di vigneti». Conferma il sindaco Roberto Sabbadini: «È una delle principali ricchezze della zona. Questa azione inqualificabile ha generato un'inevitabile preoccupazione, a livello di amministrazione e prima ancora, naturalmente, fra gli addetti ai lavori: tutti i viticoltori, ormai, sono al corrente dell'accaduto». Ma Torreano deve fare i conti con un ulteriore scenario inquietante, che potrebbe – ipotizzano Iacuzzi e lo stesso primo cittadino – riportare alla medesima mano vandalica. «Nel giro di qualche anno - spiegano – qui in paese sono stati avvelenati diversi cani. Si parla di una decina di esemplari». Casi denunciati dai proprietari delle malcapitate bestiole, ovviamente, ma purtroppo rimasti - finora – senza soluzione.
Lucia Aviani
Messaggero Veneto

Venerdì Alpino - ogni ultimo del mese

IL VENERDI DEGLI ALPINI Cappello Alpino

Torreano 2015

La nuova sede Alpini di Torreano è bella, funzionante, centrale, facciamola anche 'sorridere' frequentandola.

Ogni ultimo venerdì del mese, dalle 18.30 in poi, la sede sarà aperta.

Possiamo trovarci, bere un bicchiere, giocare a carte, magari cucinare e mangiare qualcosa assieme.

Un'occasione per vederci e portare amici e parenti.

Tutti sono benvenuti nella nuova casa Alpina!

Malignani, 150 anni fa nasceva l’udinese che illuminò il mondo

UDINE. C’era un uomo che si aggirava, come una sorta di giardiniere, nel paesaggio fatato un po’ da tigre del Bengala, un po’ da Eden, che si apriva sul fianco del colle poco sotto il castello di Udine. E c’era un bambino che dall’alto lo osservava curioso perché a casa gli avevano detto che il “sior Arturo” era un genio. Era persino riuscito a far crescere lí, in piena città, le stelle alpine perché lui aveva il tocco magico e riusciva in tutto, dalla cosa piú complicata alla piú semplice.

A parte l’automobile a pila che si costruí un giorno per non restare inoperoso, a parte le fotografie che faceva e stampava da solo, seguendo l’esempio di papà Giuseppe, quelle mani abilissime e quella fantasia fervida avevano realizzato pure la macchinetta per cuocere e ibernare i marrons glacés, anche se in questo caso qualcosa era andato storto provocando un piccolo scoppio con una pioggia di zucchero fuso addosso allo stupito Archimede.

Probabilmente fu l’unico (minimo) fiasco di una carriera straordinaria, affrontata con serietà e divertimento in quanto il segreto del “sior Arturo” era di non fare nulla per scherzo essendo tutto motivo di approfondimento e passione.

Il ragazzo che dal piazzale del castello spiava l’insolito giardiniere, vedendolo salire sulla torre merlata simile a quella dei cavalieri della Tavola rotonda, era Renzo Valente, per tutti “Rensuti”, il grande giornalista che cosí ci consegnò uno dei ritratti piú insoliti e affettuosi d’un personaggio che Udine conosce certamente, ma mica tanto se ci si pensa bene. Eppure, in una eventuale graduatoria capace di abbracciare ogni epoca, probabilmente rappresenta il numero uno in assoluto. Lo ricordiamo oggi perché Arturo Malignani nacque proprio 150 anni fa, il 4 marzo 1865, quando Udine era ancora austriaca essendo diventata italiana solo alcuni mesi dopo, nel luglio 1866.

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Federico Malignani e il ricordo della famiglia: un uomo intraprendente che preferiva stare con gli umili. Il mistero del viaggio in America: «Ci andò eccome e tornò con tante idee su cui investí da uomo d’affari»

A ricordarci questo nome nella vita di ogni giorno c’è sicuramente il prestigioso istituto scolastico di viale Leonardo da Vinci, uno dei gioielli nel sistema culturale ed economico friulano. Nato come Antonio Locatelli, poi gli venne tolto il nome del pilota che aveva affiancato D’Annunzio nel mitico volo su Vienna e che era troppo coinvolto con il fascismo. Dal 1946, nella sua intestazione la scuola celebra appunto Malignani, morto il 15 febbraio 1939, ma a parte tale omaggio la città non sembra aver esagerato e mostra una volta di piú un difetto, onorando facilmente i personaggi foresti piuttosto che i cittadini e commettendo cosí errori di sottovalutazione, come in questo caso. Se la toponomastica è un esempio significativo, allora ricordiamo che il “sior Arturo” ha avuto davvero pochino, solo una strada laterale di viale Bassi.

Ciò contrasta con quello che Arturo ha fatto e lasciato, in termini di orgoglio udinese, il che non vuol dire sentirsi superiori agli altri, ma almeno consci di quello che si è. Ecco per esempio come Giuseppe Marchetti, nel suo enciclopedico “Uomini e tempi”, lo raccontava: «La storia di Arturo Malignani è del genere di quelle che si fanno leggere ai giovinetti nel “Self he. lp” dello scozzese Samuel Smiles: storia d’uno scienziato e grande industriale che si fece dal nulla e veramente da sé.

Suo padre, Giuseppe, oriundo da Torreano di Cividale, era un modesto pittore di ritratti e di soggetti religiosi per chiese e, non riuscendo a campare, aprí a Udine un laboratorio fotografico quando quella tecnica era ai primi passi...». Lo studio cambiò piú sedi da via Cortazzis a via Manin finendo in Riva del castello, dove Arturo nacque, perdendo però molto presto sia la madre, Carolina Ruggeri, sia il padre.

A provvedere a lui fu la sorella Adele. Studente irregolare, preferí procedere da solo costruendosi una piccola officina nell’orto sulla pendice del colle. Lí cominciò una vicenda eccezionale, che meriterebbe di essere narrata in un romanzo denso di intuizioni e successi. Renzo Valente li riepilogava romanticamente cosí: «La lampadina, la diga del Crosis, la centrale di Vedronza, le turbine sulle rogge, il tram elettrico, il cemento, l’osservatorio meteorologico sulle torri, il tempo, le stelle, il vento...». La scoperta piú celebre e decisiva, come si sa, riguardò la sperimentazione delle lampadine elettriche a incandescenza.

Nel 1884 Arturo presentò i primi esiti illuminando negozi, fabbriche, ristoranti e vincendo, con il sostegno dell’industriale Marco Volpe, l’appalto comunale grazie all’accorgimento che permetteva una maggior durata delle lampade e una diminuzione degli effetti nocivi, garantendo luce a doppia intensità.

Favolosi quegli anni: il matrimonio con Maria Lupieri, la nascita del figlio Camillo, la certezza di avere imboccato la strada giusta. Nel 1895 arrivò un tedesco e notando che la città era ottimamente illuminata (con quel sistema, unica al mondo) visitò la fabbrica di Malignani convincendolo a contattare la società Edison a Milano. Lí c’era il direttore Giuseppe Colombo che, sulle scoperte fatte a Udine, informò Thomas Edison, il padre dell’illuminazione elettrica (o almeno colui che seppe sfruttarla meglio). Incredulo, invitò in America il genio friulano il quale partí da solo imbarcandosi in Inghilterra per il viaggio forse piú fantastico che un udinese abbia mai fatto. Si incontrarono, si accordarono e firmarono. Cosí Edison acquistò i diritti dell’invenzione di Malignani.

Sulla cifra si è favoleggiato. Qualcuno parla di 250 mila dollari di allora, 1896. Il “sior Arturo” tornò cominciando una nuova vita, mai pigra e vuota. «La sua - scrisse Valente anni fa - è la storia di uno straordinario omino casalingo, che gli udinesi però incredibilmente non conoscono». Ma è ancora cosí?

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